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Il mio amico Alberto Garutti presenta una mostra che si articola attorno a cinque opere create appositamente per il mio spazio e per la città di Brescia.
L’intera mostra ruota attorno ai luoghi di Brescia che mi sono più cari, al particolare contesto della
città, all’immaginario dei cittadini: le opere rappresentano infatti soltanto una delle tante possibilità che Garutti aveva per dare forma ai propri pensieri. Per lui questa mostra è una sorta di ‘sfilata di moda’ che esibisce opere pronte ad essere sistemate, aggiustate, accorciate e riviste a seconda delle esigenze di chi le commissiona. Se l’artista fosse entrato in contatto con un’altra galleria o con un’altra città, i lavori sarebbero stati tarati in altro modo, perché avrebbero trovato differenti elementi ad innescarli e immagini per rappresentarli, ma si è invece imbattuto ancora una volta (questa è la quinta), in Massimo Minini, con cui l’autore ha un rapporto di lunga consuetudine e conoscenza.
La linea che produce l’immagine di ogni opera misura in metri la distanza che lega alcuni luoghi che
hanno a che fare con persone, istituzioni pubbliche, politiche, culturali ed economiche della città di
Brescia con la galleria.
La linea, riavvolta su se stessa, compone un disegno astratto, indecifrabile. Le opere sono generate dal tempo e dallo spazio di un percorso: cinque passeggiate, cinque incontri, cinque piccoli scenari. Questi momenti, che raccontano della relazione tra l’artista, la galleria, i luoghi della città e i suoi gangli vitali, vengono in qualche modo compressi e raccolti tra le fitte trame dei disegni esposti. I lavori vivono di un equilibrio al limite tra decorazione e narrazione. Le immagini, in qualche modo instabili allo sguardo, si dispiegano di nuovo agli occhi dello spettatore quando la didascalia, posta sulla cornice del quadro, svela il loro segreto e trasforma la trama filamentosa dell’opera nel racconto di una distanza, di un legame. In questo modo lo spazio espositivo viene riletto come un dispositivo in grado di relazionarsi con il mondo esterno, di comportarsi come interfaccia di relazione economica, artistica, politica, sociale e affettiva, da un lato in grado di entrare in rapporto con la città e dall’altro di dare senso all’opera, adattandola e facendola aderire al proprio pensiero.
La mostra si propone come una sorta di sintesi tra i territori poetici ed espressivi di Garutti, qui riassunti e condensati: l’artista rielabora l’esperienza compiuta nella realizzazione delle opere pubbliche per trovare una risposta al contesto della galleria. Se nell’avvicinarsi alla città Garutti crea un’opera che dialoga con il contesto e si spinge verso il cittadino (Ai nati oggi, SMAK, Gent, 2000; Piccolo Museion, Bolzano, 2002; Arte all’Arte, 2005) e nel museo fa un gesto di segno contrario, responsabilizzando lo spettatore e facendogli cercare e riconoscere l’opera (Che cosa succede nelle stanze quando gli uomini se ne vanno? ‘Camera Italia’, Vistamare, Pescara, 2001; Istanbul Biennale, 2001; PAC, Milano, 2004; The Five Rings, Forte di Exilles, 2005), qui, ragionando sullo spazio della mia galleria, instaura un dialogo con questo sistema e con la committenza.